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Di angolo in angolo, un libro di Pino Lazzaro

Scritto da Redazione2

“Di angolo in angolo”, un libro di Pino Lazzaro – note di Paolo Paiusco

 

Sul finire degli anni ‘90 e per oltre un decennio degli anni Duemila, era piacevole consuetudine per molti sportivi – soprattutto appassionati di calcio ma non solo, soprattutto veneti ma non solo – al lunedì mattina leggere, nella prima pagina di OgniSport, l’inserto del lunedì del quotidiano Il Gazzettino, la rubrica “L’Angolo di Pino Lazzaro”.

Dalla stagione 1997-’98 alla stagione 2010-’11, per l’esattezza, gli articoli di Lazzaro hanno accompagnato risultati e cronache degli eventi sportivi nazionali e locali, in una posizione – l’angolo, appunto – che anche da un punto di vista di impaginazione grafica favoriva l’apprezzamento dei contenuti proposti. Ritratti di calciatori, tanti, e di sportivi ma non solo: riflessioni, commenti, note di approfondimento, ricordi, chiacchere in libertà, in equilibrio leggero – e apparentemente insostenibile o quantomeno contraddittorio – tra il bar dello sport e il gabinetto letterario.

Dalla raccolta di quattordici stagioni di “angoli” uscì nel 2015, quasi spontaneamente, un libro, “Di angolo in angolo”, appunto (pp. 399, Mazzanti Libri, euro 18,00).

Nell’introduzione Beppe Donazzan, responsabile dei servizi sportivi del quotidiano del Nordest negli anni Novanta, ripercorre il senso dell’idea che portò a creare l’“Angolo”: “L’obiettivo era quello di catturare l’attenzione del lettore con qualcosa che non fosse già stato trasmesso dalla tivù (…) ‘Robe da leggere’, dissi quando incontrai Pino Lazzaro. La sua fu una delle prime rubriche ad essere inserita nel giornale. E prese, prese subito, diventò un appuntamento da non perdere per il lettore. Ogni settimana piccole e grandi storie, affreschi che trasmettevano emozioni”.

La descrizione è in assoluto calzante: affreschi che trasmettono emozioni, sia che si tratti di piccole che di grandi storie, sia che si tratti di campioni conosciuti e celebrati che di sportivi di minori fama e fortuna.

Lazzaro, del resto, è – per sua stessa definizione – un artigiano della scrittura, che cerca e racconta storie. Con umiltà e passione, sia nella ricerca che nel racconto. E da artigiano, anche dal punto di vista tecnico, preferisce scrivere a mano (di preferenza su fogli a quadretti, a quanto si narra) perché crede gli vengano meglio.

E’ stato calciatore professionista ed allenatore, con identica passione ha fatto e fa il giornalista. Impegnato, sin da quando negli anni ‘70 giocava in Serie C col Padova, nel sindacato calciatori: de Il Calciatore – mensile dell’Associazione Italiana Calciatori – sarà poi inviato, e della stessa rivista, che attualmente esce in versione digitale, è rimasto collaboratore.

Laurea in Scienze Politiche, esperienze di vita (e di calcio) anche all’estero, moglie americana e due figli di cui andare orgoglioso (Giovanni, che vive negli Stati Uniti, e Sara, attrice, Agnese nella serie televisiva Rai Doc), Lazzaro continua ad osservare il mondo, e il mondo del calcio, con lo stesso sguardo, sempre “dall’angolo”.

Il romanzo che, di fatto, è venuto a comporsi raccogliendo in libro quattordici stagioni di articoli testimonia l’attualità di una formula ancora valida, a quasi trent’anni dal primo articolo, a dieci dall’uscita del libro.

Nei tanti ritratti di Lazzaro, tutti tratteggiati con garbo e sensibilità, ve ne sono alcuni che assumono sfumature che ancor più li arricchiscono perché risentono in maniera chiara, seppure non sfacciata, del particolare legame d’affetto che ha legato, e lega, l’Autore ai protagonisti. Tra essi, quelli dedicati a due grandi Ezio del calcio, Vendrame e Glerean, entrambi destinatari di più di un “Angolo”.

Lazzaro e Vendrame giocarono assieme al Padova: “Ricordo che anni dopo che non ci vedevamo più (…) in un’intervista dichiarò che mi avrebbe sposato, ecco cosa avrebbe fatto con me!(…)L’ho sempre considerato un bellissimo complimento anche se non so se uno come lui io poi l’avrei sposato” (da un “Angolo” del 1999). E ancora: “Non posso non vedermelo accanto da giocatore, fianco a fianco, io a correre il doppio, lui a fare cose che solo lui tra noi sapeva fare . (…) Lui sa che era bravo ma gli credo quando dice che non gli interessa più, che il calcio è una piccola cosa della vita, che finito il calcio resta la persona e se uno era un coglione da calciatore, a fine carriera quel che resta è il coglione” (da un “Angolo” del 2002).

In questo Padova del 1976 si riconoscono Attilio Berti (terzo in alto da sinistra attuale dirigente delle Alte), Vendrame, Luciano Bigon (fratello di Alberto)  e Lazzaro, in mezzo tra i giocatori  della fila in basso

Lazzaro fu voluto nel suo staff da Glerean, al Cittadella: “Glerean? E’ una persona semplice, proprio come valori, ecco quel che intendo. (…) Crede in quel che fa, gli viene proprio da dentro ed in più, dato che è una persona “calda” e non fredda, sa farsi capire, sa comunicare in modo semplice e chiaro, responsabilizzando il gruppo,chiedendo a tutti non di fare per forza una cosa ma di “tendere” a quella (…)” (da un Angolo del 1999). E ancora, riportando direttamente le parole di Glerean: “Educatori comunque lo dobbiamo sempre essere, di lì per me non si scappa, anche perché credo che arrivare ai risultati è più facile se c’è un certo ordine nel gruppo, un dato che viene prima di ciò che si fa poi in campo” (da un Angolo del 2005).

Tra il bar dello sport e il gabinetto letterario, si diceva all’inizio: leggendo “L’Angolo di Pino Lazzaro” si aveva tanto l’impressione di sentire un parere sportivo,  assennato e competente, da un altro cliente del bar, sia di ascoltare un consiglio di lettura, una proposta di approfondimento da un insigne professore. Leggere questo libro ripropone il piacere (e l’emozione) di rivivere quelle sensazioni.

Per queste ragioni a non pochi, e tra essi chi scrive, può venir spontaneo appellare l’Autore col nome di Maestro: avendo consapevolezza (ed esperienza) del rischio di sentirsi ribattere, alla Nereo Rocco, seppur con tono meno brusco ma con voce comunque ferma:“Maestro a mi?…ma va in mona!”.

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