Manlio Scopigno, allenatore sui generis – note di Paolo Paiusco
La presentazione del libro di Giancarlo Dalla Libera “Marmajeta. La squadra perfetta” (avvenuta il mese scorso a Montecchio Maggiore nell’ambito degli eventi di Abilitante Social Fest, e organizzata dalle cooperative sociali Piano Infinito e Città Solidale) è stata occasione per una piacevole passeggiata tra i ricordi della Vicenza nella vita dell’Autore dagli anni Cinquanta in qua.
Vicenza e la sua squadra di calcio, inevitabilmente.
A margine della presentazione del libro di Dalla Libera (“un romanzo che richiama Stand by me, con in più il calcio”, nelle stringate ma efficaci parole di una lettrice) si sono condivisi ulteriori ricordi che hanno riguardato i principali protagonisti della squadra di calcio della città, protagonisti di cui magari non si parla esplicitamente nel libro ma la cui storia, sportiva e di vita, si intreccia alle atmosfere evocate dalla penna di Giancarlo Dalla Libera.
Tra essi, Manlio Scopigno, che dalla panchina condusse nel 1970 il Cagliari di Riva a vincere il suo storico Scudetto, ma che si affermò come allenatore al Lanerossi negli anni Sessanta e che a Vicenza concluse di fatto – forzatamente e quindi in maniera prematura – la sua carriera da tecnico nei primi mesi del 1976, a 50 anni (ne avrebbe compiuti 51 a novembre). Continuò ad osservare il calcio, ma non più da una panchina, commentando – col medesimo stile con cui allenava – gli eventi calcistici sul quotidiano Il Giorno nella rubrica titolata Senza filtro (felice allusione alla sua schiettezza e alla pressoché perenne sigaretta che gli pendeva dalle labbra).
E’ opinione diffusa definire Scopigno “allenatore troppo presto dimenticato” o, ancor più semplicemente, “allenatore dimenticato” ed in effetti vi è corrispondenza al vero in queste spiccie espressioni se ci soffermiamo per un attimo a riflettere che bastarono davvero solo una manciata di campionati per passare dalla gloria ad un sostanziale oblio. La sua figura, tuttavia, ha affascinato molti uomini di sport e di cultura, e – sebbene non vi sia bibliografia particolarmente corposa a riguardo – ci sono scritti a lui dedicati la cui consultazione si può rivelare opportuna e piacevole.
I testi più significativi, a giudizio di chi scrive queste note, sono quattro: un libro e tre articoli.
Il libro è di Giulio Giusti, “Manlio Scopigno. Un filosofo in panchina” (pp. 128, Ultra Sport, 14 euro), testo uscito per la prima volta nel 2002 e nel 2019 riproposto in una nuova edizione aggiornata.
Gli articoli sono: quello di Gianni Mura, “Manlio Scopigno, il filosofo in panchina che amava i libri e l’arte e detestava il potere” pubblicato per la prima volta da Repubblica il 14 aprile 2014; quello di Gian Antonio Stella, “Manlio Scopigno, il filosofo in panchina che zittiva i prof all’università (e morì dimenticato)” pubblicato sul Corriere della Sera il 21 agosto 2022; e infine quello pubblicato il 6 febbraio 2016 sul sito storiedicalcio.altervista.org col titolo Scopigno Manlio: il filosofo senza filtro, che in calce riporta una intervista molto bella, permeata da una particolarissima atmosfera, da La Stampa dell’8 agosto 1970.
A Vicenza, ricorda Giusti nel suo libro, Scopigno giunge nel 1959, come secondo di Roberto Lerici: i due si erano conosciuti a Coverciano durante un corso allenatori, erano diventati amici e li legava una stima reciproca profonda. A Vicenza Scopigno, scrive Giusti, “trova un ambiente ideale per il suo carattere: una città ricca di arte e cultura, dove, una volta chiusa alle spalle la porta dello spogliatoio, può godersi le bellezze che ha intorno con la moglie Angela. E a Vicenza nasce soprattutto sua figlia Francesca”.
Facendosi accompagnare nei ricordi dal grande giornalista Giorgio Lago, da Giulio “capitano” Savoini e Sergio (futuro avvocato) Campana, altrettanto grandi calciatori del Lanerossi in quegli anni, e dal dottor Enrico Malaman, medico sociale dei biancorossi, Giusti tratteggia il percorso che portò Scopigno a succedere a Lerici nel corso del campionato 1961-’62 per rimanere alla guida della squadra fino al campionato 1964-’65: “A Vicenza sono anni felici. La squadra diventa la regina delle provinciali e il Menti un campo difficile da espugnare.Dal 1962 al 1965, Scopigno riesce a dare un’identità precisa alla squadra, collocandola stabilmente in centro classifica, con la soddisfazione di un brillante sesto posto nel 1964”.
Ed è a Vicenza che nasce il soprannome che accompagnerà Scopigno per tutta la carriera: Giusti rammenta infatti che modi e stile dell’allenatore scatenano la fantasia di Nerio Furegon, corrispondente della Gazzetta dello Sport e autore di libri di storia, che per primo chiama Scopigno il filosofo. A riguardo, Gian Antonio Stella riporta quanto lo stesso Scopigno confidò a Franco Melli, giornalista sempre del Corriere della Sera: “Diventai filosofo ad honorem anche se all’università su Kant e Hegel risultavo una frana. Lo scherzo è durato oltre vent’anni. Lasciavo credere…”. Per inciso, dopo il conseguimento del diploma all’Istituto Magistrale “Regina Elena” di Rieti (la sua città adottiva; famiglia di origini umbre, nato a Paularo, provincia di Udine, perché lì il padre era di servizio come forestale), Scopigno si era iscritto all’Università “La Sapienza” di Roma, facoltà di Pedagogia, ma interromperà gli studi prima della tesi.
Dopo Vicenza, una sfortunata esperienza al Bologna, vincitore del campionato l’anno prima con Fulvio Bernardini, e quindi Cagliari: brillante la stagione 1966-’67, esonero nel corso dell’estate da parte del presidente Rocca per diversità di vedute, richiamato – come si suol dire – “a furor di popolo” (e di giocatori) l’anno seguente, che si concluderà con la oramai mitica conquista dello Scudetto.
Intelligente, controcorrente, fine psicologo, tatticamente attentissimo: un concentrato delle caratteristiche dell’allenatore più celebrato nel 1970.
Gianni Mura: “Curiosamente, Scopigno aveva messo d’accordo i giornalisti italianisti e quelli offensivisti. Esaltava gli attaccanti ma le sue squadre incassavano pochi gol (solo 11 il Cagliari-scudetto, resta un record). Perché parlava poco, e bisbigliando, ma non diceva cose banali. Gualtiero Zanetti lo riassunse così : ‘Ai ritiri crederebbe, ma non potendoli sopportare li elimina. Lo chiamano il filosofo, ma è uno degli uomini più pratici che si conosca. Fa tutto in funzione di ciò che gli va a genio e i calciatori finiscono per ragionare come lui. Non sopporta e fa trasferire gli insinceri, i maleducati, gli ignoranti, i vocianti, i piagnoni e i prepotenti!’ ”.
Rimane a Cagliari anche le due stagioni successive, poi – dopo un anno di pausa – nella stagione 1973-’74 accetta di allenare la Roma ma si dimette dopo sette partite.
Iniziano a comparire problemi di salute che tuttavia non lo fanno resistere al richiamo di un disperato Lanerossi sul finire del campionato 1974-’75: “La città veneta, insieme a Cagliari e Rieti, è nel suo cuore. A Vicenza aveva spiccato il volo come allenatore. A Vicenza è nata sua figlia Francesca”, ricorda Giusti. Non evita la retrocessione ma rimane per affrontare il successivo campionato di serie B. Nel corso della stagione 1975-’76 gravi problemi di salute lo costringono a smettere di allenare per curarsi: non rientrerà più nel giro, di fatto sarà – come allenatore – non più considerato.
Ancora Mura: “Detestava ogni forma di retorica e anche l’esibizione del potere. Gli piaceva il cinema neorealista, era appassionato d’arte contemporanea e amico di Corrado Cagli. Leggeva moltissimo. Amava, riamato, Luciano Bianciardi, un altro che si distrusse bevendo e fumando oltre misura. Quando Scopigno smise, era già tardi”.
Due infarti e poi un aneurisma, fatale. Muore il 25 settembre 1993.
Stella: “In una delle ultime interviste, tempo prima, aveva malinconicamente raccontato a Melli: ‘Non fumo più. I polmoni riposano dal 1976. Mi sono sentito male a Vicenza. Poi la guarigione, la lista delle proibizioni, l’attesa accanto al telefono. Qualche dirigente chiamerà… Invece niente…’ ”.
Dopo il successo, l’oblio, verrebbe laconicamente da concludere. Ma se la fortuna a Scopigno come tecnico divenne nel volgere di breve avversa, la sua testimonianza come uomo anzitutto di cultura rimane fissata nei ricordi. E se un giovane lettore appassionato di calcio o un lettore altrettanto appassionato ma di mezza età volesse ancor più intensamente scoprire l’atmosfera della “epoca del successo” di Scopigno, è molto interessante la lettura dell’intervista pubblicata su La Stampa l’8 agosto 1970: l’allenatore campione d’Italia è in ritiro con la squadra ad Asiago, è ormai notte, fuori piove; mentre i giocatori dormono, lui discetta di calcio e di vita con un pugno di amici, fumando sigarette e bevendo champagne, che con una certa cadenza ordina con cortesia a Mario, il barista.
Altri tempi, si dirà: e non senza ragione.
Tuttavia, se sorpassato è il clima ed il contesto di quegli anni, così non si può dire per i contenuti di pensiero, per l’espressione delle idealità.
E col pensiero è piacevole immaginarsi, una notte d’agosto ad Asiago che fuori piove, seduti ad un tavolo con Scopigno, a parlare di calcio e di vita.
“Mario, drink. E sigarette. Grazie”.