Su Osvaldo “Schopenhauer” Bagnoli – note di Paolo Paiusco
Si è riferito, nelle passate settimane, delle presentazioni di libri di carattere “calcistico-letterario” avvenute in luglio a Montecchio Maggiore nell’ambito degli eventi di Abilitante Social Fest, presentazioni curate dalle cooperative sociali Piano Infinito e Città Solidale.
Ezio Glerean ha parlato del suo “Il calcio e l’isola che non c’è”, Antonio Paganin de “L’anima del pallone. Professione calciatore” (scritto col compianto professore Adriano Gennari) e Giancarlo Dalla Libera del suo ultimo romanzo “Marmajeta. La squadra perfetta”.
Successivamente, ai resoconti dei singoli eventi si sono aggiunti articoli che hanno tratto ispirazione dai libri e dalle parole degli Autori.
Abbiamo quindi di conseguenza parlato del libro “Di angolo in angolo” del “Maestro” Pino Lazzaro, giornalista e scrittore, che come tecnico faceva ha fatto parte dello staff di Glerean al Cittadella; abbiamo ricordato Corrado Orrico, “quello della gabbia” come il titolo del suo libro (scritto col giornalista Vanni Spinella), partendo dai ricordi condivisi da Antonio Paganin, che lo ebbe come allenatore all’Inter; abbiamo infine ricordato Manlio Scopigno, che dalla panchina guidò il Cagliari allo Scudetto nel 1970, lasciandoci condurre dalle suggestioni evocate dalla penna di Giancarlo Dalla Libera.
Rimanendo nella trama segnata dai ricordi riferiti o suscitati dagli Autori nelle loro apprezzate presentazioni, vogliamo dedicare queste note ad Osvaldo Bagnoli, vincitore di uno Scudetto altrettanto storico con l’Hellas Verona nel 1985, e poi allenatore di Genoa ed Inter. E proponiamo di farlo partendo, come per Orrico, dalle parole di Antonio Paganin, che fu suo giocatore in nerazzurro (stagione 1992-’93 e 1993-’94) e che nel suo libro gli dedica pagine colme di stima e affetto.
Indirizzati dalla narrazione di Antonio Paganin, approfondiamo la figura di Bagnoli grazie al libro che Giulio Giusti gli ha dedicato: “Il terzino faccia il terzino. Vita e opere di Osvaldo “Schopenhauer” Bagnoli” (pp. 176. Ultra Sport, 16 euro), seconda edizione aggiornata (nel 2024) del volume “Ciao, Osvaldo (Osvaldo Schopenhauer Bagnoli)”, uscito nel 2000 (Roberto Meiattini editore).
Giulio Giusti, detto per inciso, è autore anche del libro su Scopigno, che abbiamo corposamente citato nelle note dedicate all’ “allenatore sui generis”: non si può qui mancare di sottolineare la sensibilità di Giusti verso allenatori (e uomini) che hanno raggiunto successi importanti, addirittura storici sotto l’aspetto sportivo, distinguendosi anzitutto per personalità, carisma e carattere.
L’intreccio delle fonti bibliografiche citate può evocare una atmosfera più affine al cenacolo letterario che al circolo sportivo: tale impressione diviene più marcata notando che la prefazione al libro di Giusti su Bagnoli è di Gianni Mura – uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani post Brera, per molti lettori il più grande in assoluto, scomparso nel 2020 – il quale, oltre ad aver scritto pagine particolarmente significative su Scopigno, ha firmato la prefazione anche al libro di Glerean.
Partiamo da quanto su Bagnoli racconta Paganin, quindi: “Il suo sguardo bonario e paterno mi mise subito a mio agio”, ricorda anzitutto Antonio, per poi sottolineare che era “uomo di poche parole, ma capaci di cogliere nel segno, malgrado una certa secchezza”; franco e leale, “di ogni situazione sapeva dare un’interpretazione e una spiegazione logica, precisa e rassicurante”.
In poche righe vi è un robusto condensato di quanto emerge dal libro di Giusti, che ripercorre la carriera di Bagnoli, calciatore e allenatore, partendo dal pomeriggio del trionfo (Bergamo, 12 maggio 1985, quando il suo Verona conquistò matematicamente lo Scudetto) come tappa estremamente significativa della carriera, ma in maniera più simbolica che esclusiva.
Nel trionfo come nelle delusioni, Giusti sottolinea come l’uomo sia sempre rimasto, fondamentalmente, quel che era: a prescindere dall’alternarsi di difficoltà e di soddisfazioni, senza farsi abbattere dalle amarezze e senza lasciarsi troppo cullare dalle gioie. E’ emblematico che per coerenza e per rettitudine Bagnoli restò sulla panchina dell’Hellas anche negli anni duri del declino, culminati con la retrocessione nel 1990.
Il libro di Giusti è ricchissimo di testimonianze ed è opera permeata di sentimento, animata in primis dal confronto diretto col protagonista, confronto che non trova espressione nella classica intervista ma esprime il suo profondo valore perché rispecchia un partecipato dialogo tra Bagnoli e l’Autore.
In maniera trasversale – trasversale agli anni, trasversale alle testimonianze – emergono nette le caratteristiche principali di Osvaldo Bagnoli come uomo di sport e come persona.
Nell’intreccio tra calcio e vita, si stagliano tra le pagine questi aspetti essenziali: Bagnoli si faceva rispettare dai suoi uomini in maniera autentica, fino a farsi volere bene; leggeva benissimo (e rapidamente) le partite; ad inizio stagione poteva partire male dal punto di vista dei risultati ma trovava poi sempre “il bandolo della matassa”; a chi lo accusava di giocare un calcio troppo semplice e di assumere forzatamente l’aria da antipersonaggio, rispondeva in campo vincendo “con il calcio dell’anti tatticismo e della purezza tecnica” (con le parole, su Tuttosport, di Vladimiro Caminiti, altro grande del giornalismo sportivo-letterario) e fuori dal campo rispondeva domandando a sua volta: “Sarei un antipersonaggio perché invece dell’auto uso la filovia? Sarei un antipersonaggio perché d’estate a Milano vado in piazza Duomo in calzoni corti?” (in una intervista sul Guerin Sportivo a Gianfranco Civolani, anch’egli penna nobile della scrittura sportiva col quale Bagnoli aveva particolare rapporto di stima).
Un uomo saggio, in semplici ma al tempo stesso dense parole. Una saggezza dai riflessi filosofici: “Conoscendo sempre meglio Bagnoli, mi esaltai battezzandolo Schopenhauer, grande filosofo pessimista, Bagnoli legge e sa chi sia Schopenhauer”, scrisse Gianni Brera.
Saggezza (e filosofia) si ritrovano nella prefazione di Mura al libro di Giusti: in essa racconta di Volpati – giocatore tra i “fedelissimi” di Bagnoli – che parlava del suo allenatore “come uno studente parla del professore”, e poi personalmente prosegue osservando: “Come molti che sono stati buoni calciatori, Bagnoli aveva un panorama con pochi elementi fissi: uno era che del famoso possesso palla non gli interessava assolutamente nulla. (…) Un altro era che conviene sempre lasciare libero il più scarso degli avversari, sarà dal suo errore che parte la nostra azione. Un altro ancora è che non si finisce mai di imparare”.
Indirizzati da Brera prima e dalle considerazioni di Mura poi, vien da ripensare a un altro filosofo, Benedetto Croce, che nel “Contributo alla critica di me stesso”, scrisse aver sperimentato la verità della dottrina che concepisce “la vita intera come continua educazione, e il sapere come unità del sapere e dell’imparare. E quando si sa senza più poter imparare, quando si è educati senza possibilità di meglio educarsi, la vita si arresta e non si chiama più vita ma morte”.
Il messaggio che ha lasciato Bagnoli, secondo Mura, è un messaggio di libertà: “La libertà che nasce dalla conoscenza”. Bagnoli ha da poco compiuto 90 anni, non allena più dal 1994, dopo essere stato esonerato dall’Inter, quando di anni ne aveva 59. Ha smesso di allenare troppo presto, vien da dire, pensando al suo valore come tecnico e come uomo. O forse no, forse si è ritirato al momento giusto, estraniato in un mondo che si stava modificando in maniera troppo sconnessa rispetto ai princìpi fondamentali del Bagnoli uomo e allenatore. Ancora Mura: “Tante volte ci si chiede: cosa farebbe Bagnoli nel calcio di oggi? Ma è una domanda inutile, si è tirato da parte prima. E la risposta sarebbe questa: il calcio di oggi, con la sua arroganza (di potere, di miliardi, di insensibilità) uno come Bagnoli non se lo merita”.
Gianni Mura scrisse queste righe nel 2000: a distanza di un quarto di secolo non paiono parole sorpassate.
Così come – seppure in maniera differente – sorpassate non paiono le parole di Antonio Paganin, in conclusione delle sue pagine sul suo ex allenatore, scritte nel 2010, che riportiamo come ideale chiusura anche di queste note di ricordo: “In casa o in trasferta, non mancava mai di rammentarci con un sorriso chi fossimo. ‘Ragazzi: vi parrà incredibile, ma anche oggi che è domenica NOI SIAMO L’INTER’ diceva sardonico. Era il suo modo di dirci: ‘Siamo forti, abbiamo lavorato per essere all’altezza del nostro passato e siamo pronti per il nostro presente’. Ciao Osvaldo”.