Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Adriano Bardin
Note di Paolo Paiusco
La rivalità calcistica che contrappone Vicenza e Padova, per quanto accesa, sportivamente si ricompone al cospetto di grandi giocatori che hanno vestito entrambe le maglie, lasciando ricordi ancora ben impressi nei cuori dei tifosi sia del Lanerossi che del Padova.
Ricordi magari un poco impolverati dal passare degli anni in quanto appartenenti, prima di tutto, a tifosi di età anagrafica non proprio verde ma la cui passione calcistica si dimostra ancora intatta – e quindi giovanile – quando corroborata dalla memoria di partite e campionati che, nel susseguirsi di alterne fortune sia per i biancorossi che per i biancoscudati, hanno lasciato un segno nella storia delle due gloriose società.
Queste note intendono essere le prime di una breve serie dedicata a questi calciatori entrati con pieno diritto in un ideale spogliatoio di Indimenticabili di entrambe le squadre.
Immaginando la disposizione in campo, partiamo dal portiere: inevitabilmente il grande Adriano Bardin.

Cazzola consegna la targa ricordo a Bardin
Nato a Schio il 31 gennaio 1944, Bardin ha giocato nel Lanerossi a partire dal 1962: ha esordito in Serie A il 30 gennaio 1964 (Lanerossi-Mantova 1-1) con Scopigno allenatore, ha giocato due anni in Serie C (campionati 1965-’66 e 1966-’67) con il Del Duca Ascoli (come si chiamava all’epoca la squadra bianconera) per tornare a Vicenza nella stagione 1967-’68, con Silvestri in panchina.
Coi biancorossi conta 154 presenze in Serie A; giocò col Lanerossi fino al termine del campionato 1974-’75 (con ancora Scopigno allenatore, subentrato a Puricelli), conclusosi purtroppo con la retrocessione dopo anni in Serie A contrassegnati da salvezze dignitose e campionati da “regina delle provinciali”.
Molta parte dei ricordi legati alla carriera di Bardin trovano riscontro letterario direttamente dalla sua penna. Il Baffo infatti è autore di due apprezzati volumi di ricordi: “L’ultimo spogliatoio” (pp. 238, Ipertesto edizioni, 14,90 euro), uscito una prima volta nel 2012 e, in seconda edizione, nel 2013; e il più recente “Ricordi biancorossi” (pp. 112, Grafiche Marcolin, 14,00 euro), dato alle stampe nel 2022.
Soprattutto ne “L’ultimo spogliatoio”, Bardin riporta diversi episodi di carattere personale che hanno caratterizzato la sua carriera in biancorosso. Tra essi, ve ne sono alcuni che possono essere citati come particolarmente simbolici.
Il primo risale alla primavera del 1963: Bardin, diciannovenne, al mattino lavorava in fabbrica alla Lanerossi di Schio e al pomeriggio scendeva a Vicenza per gli allenamenti, finché Scopigno, – al termine di una seduta – lo prese da parte: “E’ ora di finirla con il doppio lavoro. Adesso cominci a fare il calciatore”.
Successivamente, protagonista tra i pali in età più adulta, ricorda due vittorie “storiche” conseguite nella stagione 1972-’73 a San Siro, contro l’Inter (2-1) e a Bergamo, all’ultima giornata, contro l’Atalanta (1-0), che consentirono una salvezza apparentemente impossibile (a scapito, tra l’altro, proprio dei neroazzurri orobici). In entrambe le partite, Bardin fu protagonista assoluto, in entrambe fu sostituito dal secondo Anzolin negli ultimi minuti dopo – rispettivamente – una parata su Mazzola e una in uscita su Pellizzaro, che lo costrinsero ad essere avvicendato ma dopo aver mantenuto la porta inviolata.
A Vicenza prese il volo la carriera di calciatore professionista di Bardin, a Padova visse il felice epilogo; a Padova, in continuità con il ritiro agonistico, prese avvio la carriera come collaboratore tecnico e allenatore dei portieri che a Vicenza ebbe il suo compimento.
Un ulteriore intreccio, tra maglie biancorosse e biancoscudate, nella vita sportiva del Baffo.
Ma andiamo con ordine.
Ceduto dal Vicenza al Cesena, con una fondamentale amarezza acuita dalla retrocessione, Bardin giocherà tra le fila dei bianconeri romagnoli e successivamente nella Spal (con allenatori importanti come Marchioro e Caciagli) fino ad arrivare – siamo nel 1980 – a pensare il suo lavoro non più in campo ma da osservatore, essendo ormai giunto il tempo del ritiro dalla carriera agonistica.
Il Padova tuttavia gli propose un contratto da secondo di esperienza al titolare Gennari, in una squadra costruita per vincere il campionato di C2. Bardin accettò, e il campionato 1980-’81 rimarrà nel cuore dei tifosi biancoscudati e nei bei ricordi del Bardo: dopo un avvio deludente, l’allenatore Mammì fu avvicendato con il saggio Caciagli e Bardin conquistò il posto da titolare dopo alcune sfortunate prestazioni di Gennari.
Dopo tante delusioni, il Padova vinse il campionato con Bardin protagonista. Memorabile una partita, giocata all’Appiani, che è bello sentire raccontata dal nostro protagonista: “In uno degli ultimi incontri in casa, contro il Lanciano, dopo il vantaggio subimmo a lungo la pressione degli avversari. In quell’occasione i miei interventi furono decisivi per il risultato, tanto che al termine dell’incontro il presidente (il “vulcanico” Antonino Ivo Pilotto, n.d.r.) che puntualmente negli ultimi minuti scendeva in campo per complimentarsi con la squadra, mi issò sulle sue spalle per qualche istante additandomi al pubblico, con mio grande imbarazzo, quale eroe dell’incontro”. Di quel campionato, di quella partita e di quella particolare immagine – Bardin “portato in trionfo” sulle spalle dal presidente Pilotto – rimane, a distanza di oltre quarant’anni, viva memoria nei ricordi dei tifosi padovani.
Nella stagione successiva, Bardin rimane tesserato come giocatore ma inizia – di fatto – a ricoprire il ruolo di collaboratore del Mister, il confermato Caciagli prima e l’anno seguente Giorgi; con quest’ultimo vedrà sempre più precisamente definito il proprio incarico: preparatore dei portieri durante la settimana, osservatore delle squadre avversarie la domenica.
Il rapporto di stima professionale con Giorgi non si interrompe quando questi accetta l’offerta del Vicenza ma non vi sono le circostanze favorevoli per Bardin di seguirlo, e quindi “di far ritorno a casa”, tanto è vero che – successivamente – i due lavoreranno insieme a Brescia, Cosenza, Fiorentina e Cagliari.
Ritorniamo a Padova: campionato 1983-’84, Serie B, Bardin collabora non più con Giorgi ma con Sereni e – in successione – Agroppi e Rambone. La stagione successiva, sempre in Serie B, vedrà Di Marzio avvicendare Rambone dopo nove giornate. In questo vortice di allenatori della prima squadra, Bardin rinsalda il proprio ruolo e la propria specifica professionalità, traendo e mettendo a frutto – con umiltà e senso della misura – insegnamenti ed esperienze ricavate da ognuno dei colleghi “padovani”.
L’esperienza in biancoscudato dura sino al termine della stagione 1985-’86: il Padova la giocò in Serie C (dopo la retrocessione, per illecito sportivo, del campionato precedente), allenatore Perani.
Interessante aneddoto: prima partita di campionato a Bergamo, contro la Virescit Boccaleone, Perani assente per un lutto familiare, Bardin in panchina come Mister: “Fu per me la prima e ultima partita da allenatore, ma quell’unica volta decise la mia carriera di collaboratore. Gli avversari andarono subito in vantaggio e per gran parte del tempo non riuscimmo che a contenere i danni. (…) A pochi minuti dalla fine (…) mi decisi finalmente a far entrare la punta Marchetti al posto del libero Seno. Incredibile a dirsi, al 90° siglammo l’1-1! Mentre si riportava la palla a centrocampo pensavo “Però, che mossa! Forse potrei fare il Mister!”; ebbi a malapena il tempo di completare mentalmente la frase (…), palla al limite della nostra area di rigore, il libero e il portiere non s’intendono…autogoal. Palla al centro, partita finita e fine della mia carriera da allenatore”.
Finì dopo una partita la carriera da allenatore di prima squadra, ma fiorì ulteriormente quella di collaboratore, secondo e allenatore dei portieri, raggiungendo l’apice con l’incarico in Nazionale con Trapattoni Commissario Tecnico.
Sul binario dei ricordi biancorossi-biancoscudati, ritorniamo da Padova – anno 1986 – a Vicenza, anno 2007: il rientro “a casa” è in una società che lo fa sentire più un tappabuchi che un professionista; ma Bardin, così come non può non notare che l’allenatore degli allievi alla prima esperienza prima di dargli spazio in allenamento “cominciò lui con i portieri perché ne aveva bisogno per un lavoro di tattica”, altrettanto sottolinea che l’allenatore della prima squadra Gregucci “mi chiamava affettuosamente “Maestro””.
L’amore per il Vicenza e i suoi colori prevale, di fatto, su tutto.
C’è – simbolicamente – una partita da allenatore del Vicenza, al Menti, il 7 settembre 2008: contro l’Empoli, Gregucci squalificato, Bardin (ventisette anni dopo Virescit-Padova) in panchina.
Finì 1-1: “Subimmo una rete ma, in inferiorità numerica, raggiungemmo il pareggio e sfiorammo la vittoria nel finale su punizione di Bernardini. A fine partita, uscendo dal campo, sentii la voce di mia nipote Bianca, alzai il capo e la mano verso la tribuna dove un applauso rispose al mio saluto: non mi sarei azzardato ad assumere un ruolo ufficiale che non avevo, ma il felice equivoco mi permise di salutare per l’ultima volta il pubblico davanti al quale avevo trascorso la parte più importante della mia carriera, al quale avevo sempre creduto sia quando mi fischiava sia quando mi applaudiva, e al cui giudizio mi ero sempre affidato”.
Un applauso che scroscia, col pensiero, anche dal vecchio Appiani e che, con quello del Menti, rende un sincero, partecipato ed accomunante omaggio ad un grande Ex (calciatore, allenatore) e – anzitutto – ad un grande uomo.