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Lr Vicenza- Padova, storie di grandi ex: Ezio Vendrame

Scritto da Paolo Paiusco

Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Ezio Vendrame
note di Paolo Paiusco

 

Due foto: una scattata a Vicenza, l’altra a Padova.

La prima nel 1973, dalla mano di un giovane artista che presto si affermerà a livello mondiale, ingaggiato dall’agenzia pubblicitaria Adas per conto del Comune, Giorgio Sala sindaco.

L’altra nel 1976, prima di una partita di Serie C, in stile conforme alla consuetudine del rito che precede il fischio d’avvio.

 

La foto di Vicenza porta la firma di Oliviero Toscani; “Primavera Palladiana Vicenza 1973” ritrae i “simboli” della città, della comunità: “Uno è il Lanerossi, “la nobile provinciale” calcistica da 20 anni in Serie A e la scelta cade su Ezio Vendrame, ala e mezzala, genio e sregolatezza. Lo scapigliato Ezio ha le stimmate del personaggio: chioma lunga e ribelle, barba da beatnik, pare uno di quei rocker che approdano sul palco del neonato palasport, gente tipo Black Sabbath e Jethro Tull. Figuriamoci se l’occhio modernista di Toscani può farselo scappare. E dunque eccolo lì, appollaiato sui gradini sotto la statua: alla sua destra il vigile Dante; alla sinistra, c’è il simpatico faccione del commerciante Luigi Brugnaro, più volte utilizzato dal cinema come caratterista, esattamente come il mitico “casolìn” Araldo Geremia che si nota più sotto, in cravatta e giacca bianca d’ordinanza, non distante dal libraio-scrittore Virgilio Scapin. E poi il gelatàro dei Brustolon con la gondola ambulante, l’altrettanto vagante venditore di “caramèi”, bimbe e bimbi delle elementari col maestro, il “moro american” pescato alla Ederle e, tornando verso il centro, lo strillone del quotidiano “La Notte” che ogni sera staziona al crocevia tra corso Palladio e contrà Battisti. Il designer Gabri Chemello spunta in basso a sinistra, incorniciato dalla candida barba e lassù in cima sorride librando un palloncino il collega Carlo Geminiani, in tenuta montanara a evocare il suo ruolo di paroliere per Bepi De Marzi e i Crodaioli. Un ritratto collettivo irripetibile”, nella descrizione di Antonio Stefani sul Giornale di Vicenza (14 gennaio 2025), ricordando il celebre fotografo nella scomparsa.

Quanti personaggi noti: dal vigile Dante, allo scrittore Scapin, al casolin Geremia, al carretto gelati di Brustolon

La foto di Padova non è “firmata”; dopo qualche minuto dallo scatto, l’arbitro fischierà il calcio d’inizio della partita che i biancoscudati vinceranno 3-0 contro il Trento, gol di Manservigi e doppietta di Vendrame (il primo su rigore). E’ in bianco e nero, si intuiscono maglie rosse prive del biancoscudo. Da sinistra, in piedi, ritrae Moruzzi, Manservigi, Berti (“grande ex” nelle note del 12 settembre scorso), Cecco, Vendrame (inconfondibile, come nella foto di Toscani) ed il capitano Luciano Bigon; accosciati sono Tripepi, Ballarin, Lazzaro (il futuro Maestro, alle cui pagine attingono molte di queste righe), Bartolini e Coramini.

Da Piazzetta Palladio all’Appiani: due foto nel breve spazio di tre anni, in due città, con le maglie delle rispettive squadre di calcio, ugualmente simbolo e beniamino, croce e delizia di tifoserie rivali ma in identica maniera affascinate dal talento cristallino e dalla complicata personalità di Ezio Vendrame.

Era nato a Casarsa della Delizia, provincia di Pordenone, il 21 novembre 1947. Giocò col Lanerossi per tre stagioni, in Serie A, dal 1971 al 1974, disputando 46 partite e realizzando 1 gol. Non troppi campionati, non troppe presenze ma sufficienti per lasciare il segno.

Negli sportivi, nei compagni di squadra.

Adriano Bardin, nel suo “Ricordi biancorossi anni 60/70” del 2022 scrive una testimonianza limpida e poetica assieme:

“Ezio Vendrame è tanto noto per il suo virtuosismo con la palla quanto per il suo straordinario rapporto con la vita. Con entrambe ebbe una relazione difficile, ma seppe inventare un personaggio che le gestiva bene, trattandole con ironia, un altro se stesso insieme al quale percorse tutta la propria strada. Fui con Ezio per tre anni al Vicenza, tre anni di salvezze all’ultima giornata, quando non c’era sempre posto per il giocoliere che mandava il pubblico in visibilio. Ezio si allenava con gioia durante la settimana, ma diveniva cupo e silenzioso all’approssimarsi della partita, in un certo senso scompariva il personaggio ed emergeva l’uomo con tutta la sua fragilità e le sue paure.

Il mio ricordo per l’uomo Ezio è allora tutto condensato nell’episodio di un calcio di punizione per gli avversari dal limite della nostra area di rigore, al Menti. Vendrame aveva il fisico adatto per essere il secondo in barriera, quello che guarda la palla e salta per una possibile deviazione. Poco prima del fischio dell’arbitro però dà le spalle al pallone e si gira verso di me, mi guarda.

– Ma cosa feto Ezio?! – Guardo te che fai la parata.

Ricordo il tuffo, la palla tra le mie mani, Ezio che corre verso di me e la gioia del suo bacio. – Hai visto Bardo che avevo ragione!”. (…)

Due le stagioni al Padova: Serie C, campionato 1975-’76 e 1976-’77. 57 presenze in totale: pochi anni, relativamente poche presenze ma anche qui lasciando il segno.

Si raccontò all’amico, ed ex compagno di squadra, Pino Lazzaro, che ne riportò la testimonianza nel suo “Nella fossa dei leoni” del 2002:

“Io i nuovi stadi li butterei giù tutti, sono stadi come l’Appiani e il Menti che mi affascinano, dove senti battere il cuore della gente, la senti respirare. (…) Mi ricordo in particolare una partita con l’Udinese, il mio secondo anno. Se vincevano da noi erano in B. C’erano diecimila friulani allo stadio, tutti a fischiarmi, a dirmi zingaro, di tutto. Ricordo che il giorno dopo sul Gazzettino mi hanno dato dieci; ho fatto due gol e il secondo l’ho fatto dal calcio d’angolo e prima di tirarlo ho urlato alla tribuna che avrei fatto gol. (…) Era dura per me la domenica, in tutti gli stadi. Fino al sabato ero un grande giocatore poi la domenica mi bloccavo, non mangiavo mai, in spogliatoio avevo sempre conati di vomito prima della partita. (…) I grandi si vedono la domenica, per questo penso d’essere stato un calciatore mediocre. (…)No, non sono mai stato un professionista, io il calcio lo vivevo come da ragazzo, era un gioco, un’emozione. Crescendo mi sono accorto che non c’era solo il pallone e quando le persone mi davano più emozioni del calcio non ci pensavo molto, il calcio veniva dopo”.

Vendrame

Morì nel 2020, il 4 aprile.

Dopo il calcio, una certa notorietà come “personaggio”. Scrisse diversi libri, anche di poesia. Tante righe su di lui, e non principalmente sulle pagine di sport. Quando se ne andò, furono scritti articoli molto sentiti e documentati, per degnamente ricordarlo. E sono stati ripresi in molti pezzi commemorativi i ricordi di gesta che spiccarono per eccentricità e conseguente clamore, episodi che tuttora danno idea dell’originalità di Vendrame.

Come in una poco combattuta Padova-Cremonese, che ravvivò portando palla da centrocampo fino alla propria porta dribblando anche il portiere e fermandosi giusto sulla linea: un tifoso del Padova morì d’infarto.

Oppure quando a San Siro contro il Milan fece tunnel a Gianni Rivera, salvo poi chiedergli scusa.

O ancora quando, rallentata l’azione, salì sopra la palla con entrambi i piedi e si inchinò davanti alla tribuna.

O, infine, quando nel corso di un’altra gara, sempre al Padova, scorse in tribuna il poeta e cantautore Piero Ciampi – suo grande amico – e si estraniò dal gioco per andare a salutarlo (finita la partita però fu Pino Lazzaro ad ospitare l’artista, perché Vendrame doveva proprio andare, “A Piero pensaci tu, Pino”…e il Maestro portò Ciampi a casa dai suoi: “E attorno alla tavola rotonda del soggiorno, quest’uomo a parlare della vita e dell’amore e ancora adesso mia sorella se la ricorda quella serata”, racconta Lazzaro).

Tanto, ripetiamo, si può leggere su Vendrame, in tanti su di lui hanno scritto: ma è nelle parole dei due ex compagni in biancorosso e in biancoscudato – per chi scrive queste note – che si respira la bellezza, seppure gonfia di malinconia, dell’autentico ricordo.

“Nelle foto non li puoi mai vedere bene quei suoi occhi così, così…”, disse ancora Pino Lazzaro, “penso ancora agli occhi, dopo tanti anni ancora così, così…”.

Perché, come concluse Bardin “era tante cose, tutte insieme, Ezio Vendrame”.

 

 

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Paolo Paiusco