Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Ennio Dal Bianco
note di Paolo Paiusco
Un nuovo ricordo di un “grande Ex” di Vicenza e Padova, un nuovo ricordo di un grande portiere. Dopo Adriano Bardin e Toni Pin, è la volta di Ennio Dal Bianco.

Nato a Thiene il 3 novembre 1962 (e quindi fresco sessantatreenne, auguri!), Dal Bianco è entrato in campo a difendere la porta dei biancorossi in tre stagioni, una in B e due in C1.
Campionato 1986-’87, Serie B, 9 presenze: stagione molto difficile per il Lanerossi, rimasto tra i cadetti per la revoca della promozione ottenuta sul campo nella stagione precedente in conseguenza delle inchieste sul cosiddetto Tononero-bis. Stagione che si concluse con una amara retrocessione ma in cui la squadra biancorossa lottò fino alla fine per evitarla.
Rimane ampiamente ricordata, nelle cronache sportive nazionali dell’epoca, la partita decisiva che vide contrapposte Lazio e Lanerossi, all’Olimpico, in una calda domenica di giugno del 1987. Uno scontro dal quale la squadra berica uscì sconfitta proprio sul finire, ma che rimase in bilico fino all’ultimo grazie a una eccezionale prestazione del protagonista di queste note.
“Una partita per la sopravvivenza: al di là dell’onta della terza serie, la Lazio deve evitare una retrocessione che comporterebbe il definitivo dissesto finanziario, con i nuovi azionisti di maggioranza che, a causa dei minori introiti della C, non potrebbero più far fronte agli impegni presi nella stagione 1987/88. Un incubo, un thriller in piena regola anche perché il Vicenza con un pari si garantirebbe almeno gli spareggi per non retrocedere. E per i tifosi laziali la nemesi si materializza nelle fattezze del portiere dei veneti Ennio Dal Bianco, che para l’impossibile di fronte agli attacchi di una Lazio per nove undicesimi protesa in avanti, fatta eccezione per il portiere Terraneo ed il libero Marino”, ha ricordato Fabio Belli su storiefuorigioco.altervista.org (21 giugno 2022).
Dal Bianco capitola a pochi minuti dal novantesimo su una beffarda conclusione dell’attaccante biancoceleste Giuliano Fiorini: per la Lazio la porta della salvezza resta aperta, e all’inizio di luglio la permanenza in B si concretizzerà dopo gli spareggi contro Taranto e Campobasso; per il Lanerossi la sconfitta a Roma vuol dire Serie C.
“Ma come in quei film che riservano ancora una scena dopo i titoli di coda, anche questa storia ha un’appendice sorprendente e commovente: l’eroe mancato della partita per il Vicenza, Dal Bianco, il portiere arrivato oltre i propri limiti, rientra a casa da Roma con la retrocessione che ancora brucia sulla pelle. Ma c’è poco tempo per pensarci: trova il figlioletto in preda ad un malore, la corsa all’ospedale è provvidenziale. Un soccorso che sarebbe mancato senza il gol di Fiorini, visto che il Vicenza in caso di risultato positivo sarebbe andato subito in ritiro per gli spareggi, senza far passare da casa i calciatori”, ricorda ancora Belli, riportando poi quanto dichiarato dallo stesso portiere: “Sono emotivamente legato a Lazio-Vicenza perché a volte le grandi delusioni si trasformano in grandi gioie. Era previsto, infatti, che se avessimo pareggiato con i biancocelesti avremmo partecipato agli spareggi a Napoli, rimanendo quindi a Roma per una settimana senza tornare a Vicenza. Tornai invece a casa, mio figlio piccolo ebbe dei problemi fisici ed io, nonostante il parere di tutti, decisi di farlo ricoverare. Ciò gli salvò la vita. Una sconfitta in campo si trasformò in un evento salvifico”.

Titolare nel campionato 1987-’88 in Serie C1 (34 presenze), passa al Padova, in Serie B, la stagione successiva (7 presenze), rientra a Vicenza per il campionato 1989-’90 (29 presenze), quindi torna definitivamente in biancoscudato dalla stagione 1990-’91.
Vestirà la maglia del Padova fino al termine della stagione 1995-’96, che – dopo la promozione del 1994 – sarà l’ultimo campionato giocato in Serie A per gli euganei.
Sette campionati in tutto nella città del Santo, un totale di 19 presenze.

“Tanti anni a Padova, poche partite. E’ stata dura. Partivo ogni anno con la prospettiva di fare il dodicesimo”, raccontò a Pino Lazzaro.
“La mia parte l’ho sempre comunque fatta e da dodicesimo mi sono sempre preoccupato di dare a chi giocava al mio posto la considerazione e l’affetto che io speravo di poter ricevere quando magari fosse venuto il mio turno. E’ un ruolo delicato quello del portiere, chi gioca deve essere tranquillo, altrimenti ci va di mezzo la squadra. Ricordo benissimo le cinque partite che ho fatto nel ‘92-’93: che bene giocai, già quell’anno sfiorammo la A”.
Significative le parole con cui si esprime a suo riguardo il Maestro Lazzaro, che ebbe modo di frequentarlo proprio nel corso della militanza patavina di Dal Bianco: “C’è stato un periodo, in quegli anni, che quando nel centro di Bresseo facevano doppio allenamento pranzavamo assieme (Lazzaro abitava poco distante dall’allora centro tecnico del Padova, n.d.r.). La mia famiglia era negli Stati Uniti ed era così una piccola abitudine, utile ad entrambi. Stufa accesa in cucina, era lui più che altro a parlare. Giocava poco, davanti c’era Bonaiuti, ma non era uno che mollava Ennio, la sua non è la testa tipica del calciatore, pallone e pallone. No, teneva botta, ci dava dentro e poi, visto che così è fatto, ecco che s’era saputo comunque ritagliare un proprio ruolo nello spogliatoio di quel Padova. Lui non giocava eppure avvertivo nei suoi racconti, in quelli che erano qualche volta degli sfoghi, una sensibilità particolare, un’attenzione sempre viva per il “gruppo”. Come dire insomma che era una presenza fondamentale, un punto di riferimento credibile (ah, quanto c’è bisogno di questo!) per i compagni, più “titolari” di lui sul campo magari ma certo più “riserve” fuori”.
“Riferimento credibile”, sulla scorta della riflessione di Lazzaro, Ennio Dal Bianco ha saputo dimostrarsi anche dopo la vita da calciatore professionista: sia come allenatore, per il tempo in cui ha allenato (tra Serie D e Serie C2 a cavallo tra fine anni Novanta e primo decennio degli anni Duemila: rimane negli annali il record di 12 vittorie di fila del suo Thiene nella stagione 1998-’99), sia nell’ambito professionale in cui ha deciso di operare dopo aver studiato “Scienza della salute-Naturopatia”.
A ulteriore riprova di quanto diceva Ezio Vendrame, che il calcio è una piccola cosa della vita, e quindi come “finito il calcio resta la persona e se uno era un coglione da calciatore, a fine carriera quel che resta è il coglione”, quel che è restato della persona Ennio Dal Bianco al termine della carriera è emblema del suo spessore come individuo.
Dopo Toni Pin e Adriano Bardin, con Ennio Dal Bianco si chiude il trittico di “portieri grandi Ex” che, dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, hanno saputo farsi apprezzare tanto dai tifosi del Menti che dai tifosi dell’Appiani (sino ad arrivare all’Euganeo): giocatori che hanno vissuto fortune differenti, nelle loro carriere, ma accomunati – oltre che dall’avere indossate le gloriose maglie con sul petto cucita la “R” o il biancoscudo – dal valore che contraddistingue gli uomini grandi (anche e soprattutto) fuori dal campo.

