Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Albertino Bigon
note di Paolo Paiusco
260 presenze e 64 gol in Serie A, tra Spal, Foggia e soprattutto Milan; coi rossoneri di Rivera, Scudetto (quello della “stella”, campionato 1978-’79), Coppa delle Coppe (1973) e tre Coppe Italia (1972, 1973 e 1977); 3 presenze ed un gol nelle Nazionali giovanili: gli è sfuggito l’esordio in Nazionale maggiore ma c’era anche lui, seppur in panchina, il 14 novembre 1973 quando gli Azzurri, per la prima volta nella storia, sconfissero a Wembley l’Inghilterra (1-0, gol di Capello).
Un giocatore di classe, carattere e signorilità: talenti che è assai raro veder combinati nello stesso atleta; quando succede, quel calciatore rientra nella inevitabilmente ristretta schiera dei campioni.
Alberto Bigon (Albertino per l’anagrafe, per volontà di una prozia) è nato a Padova il 31 ottobre 1947.
Ha attraversato il calcio giocato tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta: è stato – ed è – una “bandiera” del Milan, nel ricordo collettivo che accomuna i tifosi rossoneri e gli appassionati del pallone in maniera identica ma affezionati ad altri colori.
Ed è stato poi allenatore: soprattutto l’allenatore di Maradona, del Napoli che conquistò il suo secondo Scudetto (1990); ma non solo: campionato e coppa nazionale (1997) col Sion, in Svizzera, e panchine in Grecia (ad Atene, Olympiakos) e Slovenia (Interblock Lubiana).

Un giovanissimo Bigon
Un campione da giocatore e un allenatore internazionale, dunque. Ma in questa rubrica dedicata ai “Grandi Ex” di Vicenza e Padova si tratteggia il ritratto di Bigon ripensando ai colori bianco e rosso che, modulati in differente maniera, colorano l’alfa e l’omega delle maglie indossate nella sua carriera di calciatore: quella biancoscudata e quella con la “R” cucita al petto.
“Col Padova sono entrato da pulcino. I miei maestri sono stati Tansini e Alfonsi, due personaggi. Tansini è stato soprattutto un maestro di vita, come correttezza, puntualità, pulizia. Alfonsi era invece più ruspante, più sanguigno. L’uno, Tansini, molto “inglese”, ti parlava sempre in italiano, l’altro invece in dialetto. Erano gli anni di Rocco, eccome se l’ho conosciuto. Era il Padova vero, quello praticamente imbattibile in casa. Noi si giocava prima delle loro partite, bianchi contro rossi. Rocco si lamentava con Tansini perché vincevamo sempre noi, i bianchi: veniva nello spogliatoio, e chiedeva con quel suo vocione chi era il 9, chi il 10, chi l’11. Bigon, Dal Pozzolo, Quintavalle. Ho preso da lui i primi calci in culo. Si capiva che sotto sotto scherzava, è stato lui poi che mi ha voluto al Milan”, raccontò a Pino Lazzaro (“Nella fossa dei leoni”, Ediciclo editore, 2002).
Una promessa del calcio sin da bambino, dunque. Una promessa mantenuta: esordio in prima squadra nel campionato 1964-’65, in Serie B, e titolare nelle due stagioni successive.
“Quando sono entrato in squadra poi non sono più uscito. Erano anni quelli in cui non c’erano dodicesimo, tredicesimo e così via, la panchina lunga insomma. La mia prima partita è stata Padova-Monza, 0 a 0; giocai abbastanza bene. (…) Padova è stata il mio trampolino di lancio, sono stati anni belli, felici. Ero l’unico di Padova, avevo le mie amicizie, prendevo pure qualche soldo. L’unica cosa che adesso mi dispiace un po’ è quella di aver lasciato la scuola, in seconda liceo. Prima al Barbarigo, poi al Tito Livio: a quel tempo c’era anche poca apertura mentale verso lo sport, non mi hanno aiutato, alla fine ho smesso”, sempre al Maestro Lazzaro.
In tutto 64 presenze e 14 reti col Padova, che – pur giocando tra i cadetti – arriva a disputare la finale di Coppa Italia nel 1967, Humberto Rosa in panchina: finisce 1-0 per il Milan, la squadra in cui, voluto da Rocco, Bigon sarà uno dei giocatori-simbolo qualche anno più tardi.
“Non si era dimenticato di me. Quando avevo diciott’anni e giocavo in Serie B col Padova mandava ogni tanto Zagatti a seguirmi. Mi prese invece il Napoli e da lì finii al Foggia, dove ho avuto la fortuna di maturare con un altro stupendo personaggio, Tommaso Maestrelli (l’artefice dello Scudetto conquistato dalla Lazio nel 1974, n.d.r.). Anche lui maestro di gestione ambientale, che mi aiutò a crescere e mi valorizzò come giocatore, tanto che Rocco mi ripescò portandomi al Milan quando avevo ventitrè anni. Era il ‘71, lui ancora perfettamente in sella, lo stesso che avevo conosciuto dieci anni prima”, riportò Bigon a Gigi Garanzini (“Nereo Rocco. La leggenda del paròn”, Baldini & Castoldi, 1999, e “Nereo Rocco. La leggenda del paròn continua”, Mondadori, 2009).
Nove anni a Milano, sponda rossonera: campionati di successi e di sofferenza, in cui Bigon si consacra come uno dei calciatori più interessanti della Serie A. Da Rocco a Liedholm, da centravanti falso nueve ante litteram a libero, quasi: “Il ruolo di libero mi piaceva, ero pronto, e invece proprio in quei giorni, e diciamo per fortuna, è nato il fenomeno” ha recentemente ricordato Bigon a Germano Bovolenta (La Gazzetta dello Sport, 23 giugno 2025).
Il fenomeno è Franco Baresi.
“Incredibili coincidenze – continua el dotor, come lo aveva soprannominato Rocco -. Quando lascio il Milan, parte Baresi. Quando smetto a Vicenza, nel 1985, nasce Roberto Baggio”.
Dopo il Milan e la Lazio (due stagioni in Serie B, campionato 1980-’81 e 1981-’82), infatti, Bigon rientra in Veneto: casa sui Colli Euganei, i figli più grandi a scuola a Padova, el dotor chiude la carriera giocando gli ultimi due campionati da professionista a Vicenza.
Serie C1, stagione 1982-’83, in panchina Bruno Mazzia avvicenda Giancarlo Cadè nel corso del girone d’andata, il Lanerossi chiude al quarto posto alle spalle di Triestina e Padova (promosse in B) e Carrarese. La stagione successiva arriva dal Padova Bruno Giorgi a guidare i biancorossi: terzo posto finale per il Lane, ad un punto da Parma e Bologna, appaiate e promosse.
Nel suo ultimo campionato, Bigon tiene “a battesimo” Roberto Baggio, si accennava poco sopra. Ancora a Bovolenta: “Un giorno ce lo presentano: ‘Questo è Roberto Baggio e da oggi si allenerà con la prima squadra’. ‘Sempre?’, chiedo. ‘Da oggi’, dice il direttore sportivo. ‘E cosa fa? Lascia la scuola?’. ‘Si’. ‘Ma dai, i ragazzini mandateli a scuola…’.
E’ qui da sottolineare la premura “paterna” di Bigon, il cui figlio maggiore Davide, classe 1969, ha solo due anni in meno di Roberto (l’altro figlio Riccardo è del 1971, la figlia Ramani del 1975). Tra il 1984 e il 1985 Davide sta frequentando la quinta Ginnasio al Marchesi a Padova, Alberto lo aiuta nella traduzione delle versioni di latino e greco per casa (non ha fatto la maturità ma non sono stati inutili gli anni al Barbarigo e al Tito Livio): forse è il caso che il giovane Baggio continui anzitutto con la scuola.

“Poi, quando ho visto come giocava, ho capito che forse era giusto così. Mi aveva chiamato la Lazio per sapere com’era el bocia. Ho risposto: ‘Un fenomeno, prendetelo subito.’. ‘Ma sono fuori di testa a Vicenza? Vogliono cinquecento milioni di lire!’. L’avevano considerata una cifra spropositata, scandalosa. ‘Ma ne vale molti di più’, dissi. Lo prese la Fiorentina”.
Finisce quindi con la promozione sfuggita per poco la lunga e prestigiosa avventura di Bigon calciatore (Bigon I, per esattezza da almanacco, a distinguerlo da Bigon II: il fratello Luciano, classe 1952, capitano del Padova di Lazzaro, Vendrame e Berti).
Una avventura vissuta da protagonista fino all’ultimo: 57 presenze e 16 gol il totale dei due campionati in biancorosso.
Il rammarico per la mancata promozione del Lanerossi si vela ancor più di malinconia, pensando che non ci saranno altre partite da giocare in carriera, finito quel campionato.
E dopo le lacrime versate per l’amarezza dello Scudetto sfuggito nella Fatal Verona nel 1973, quelle di felicità per lo 0-0 con il Bologna nel maggio 1979 che vuol dire Scudetto della “stella” (anche se non giocò per infortunio: “Una beffa perché in quella stagione, per i problemi di Rivera, ero io il capitano”, le sue parole riportate più recentemente da Vincenzo Pastore su www.filippogalli.com), nel 1984 un’ultima volta Alberto Bigon per il calcio pianse.
Il 20 maggio 1984, terzultima giornata, il Lanerossi perde al Menti lo scontro diretto col Parma: un 1-4 pesantissimo, che rende inutili le vittorie nelle ultime due partite contro Modena e Brescia.
Pochi anni dopo Bigon sarà uno dei migliori allenatori d’Italia: la delusione per la Coppa Italia persa in finale da giovane calciatore con la maglia del Padova e le lacrime versate al Menti per la maglia del Lanerossi Vicenza a fine carriera, se non saranno dimenticate, sapranno di un ricordo meno amaro.

