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Lanerossi- Padova, storie di grandi ex: Pippo Filippi

Scritto da Paolo Paiusco

Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Roberto Filippi

note di Paolo Paiusco

Capelli lunghi e baffi spioventi, iconici canoni d’estetica maschile degli anni Settanta; meno di un metro e settanta per 60 chili di corsa, grinta e – assieme – qualità.

Professionista in campo fino alle soglie dei quarant’anni; professionista, probabilmente, per tutta la vita nella mentalità e nell’amore verso il gioco del calcio: al di là del ritiro da giocatore, al di là del venir meno dell’impegno da allenatore.

Roberto “Pippo” Filippi è uno dei simboli del Real Vicenza, una delle “figurine” più riconosciute ed amate, il numero 11 a chiudere – in un involontario scioglilingua che rallegrava i tifosi biancorossi bambini e grandi: Faloppa-Filippi – una delle formazioni entrate nel ricordo collettivo degli appassionati di calcio vicentini.

La mitica squadra del Real Vicenza di Fabbri con Galli, Faloppa, Leli, Carrera, Callioni Prestanti e accosciati Filippi, Marangon, Rossi, Salvi, Cerilli.

Real Vicenza, ma non solo: con i biancorossi Filippi gioca in tutto 200 partite (segnando 4 gol) tra il 1975 e il ‘78 prima e tra il 1983 e l’ ‘87 poi, ma il suo esordio tra i professionisti è con la squadra della sua città, Padova, dove è nato il 10 luglio 1948.

Senza baffi da più giovane, coi capelli di certo non corti da sempre: “ero con gli juniores B, ero capitano. Ma avevo quel giorno i capelli un po’ lunghi, molto meno di come li avrei portati più avanti, in prima squadra. Tansini (storico allenatore e scopritore di talenti del Calcio Padova, n.d.r.) mi tolse la fascia e la diede a un altro”, dichiarò a Pino Lazzaro (“Nella fossa dei leoni”, Ediciclo editore, 2002).

Serie C coi biancoscudati dal 1969 al 1972 e poi ancora dal 1974 all’ottobre 1975, per 143 presenze.

In mezzo l’esordio in Serie A col Bologna, due stagioni di Serie B con la Reggina fino ad arrivare alla consacrazione col Lanerossi: un primo campionato in B dall’autunno 1975, poi la gloriosa promozione in A al termine della stagione 1977-’78 e lo storico secondo posto nel campionato 1978-’79.

“Furia a quei tempi non era solo il cavallo del West della serie tv. Era il soprannome di Roberto Filippi, campione silenzioso”, ha scritto Matteo Marcolin su uno speciale de Il Giornale di Vicenza per i 120 anni del Lane uscito nel 2021. “Era il simbolo di un calcio provinciale che vedeva per la prima volta le luci della ribalta nazionale. Motorino instancabile, che si lanciava in inarrestabili sgroppate sulla fascia, ma riluttante ai riflettori, tanto da rilasciare interviste con il contagocce. Paradigma simbolico del nord est di quel periodo: piccolo faticatore di centrocampo con due polmoni grossi così”.

Premiato col Guerin d’oro – il riconoscimento nazionale assegnato dalla famosa rivista calcistica – come miglior giocatore di Serie A per due anni di fila (!), 1978 e 1979. Nel campionato che vede il Lanerossi clamorosamente retrocedere in Serie B, Filippi gioca col Napoli: verranno poi le stagioni con Atalanta e Cesena, sino al ritorno a Vicenza, Serie C1, nel 1983. Un ritorno con andamento simile alla prima, felice esperienza: primo anno a prendere le misure, poi doppio salto – in due anni – ad arrivare in Serie A, con la gioia per il ritorno nella massima serie svilita dalle conseguenze della inchiesta sul cosiddetto Totonero-bis, come già ricordato nelle note dedicate a Franco Cerilli la settimana scorsa.

Quindi l’ultimo campionato in B, col Lanerossi, stagione 1986-’87. “Ho giocato sino a trentanove anni, poi ho dovuto smettere, c’è un limite a tutto, no? – dichiarò a Pino Lazzaro. “Quell’ultimo anno, in B, avevo fatto venticinque partite, fisicamente ero a posto, avrei potuto giocare ancora, ma che potevo farci, le cose finiscono. E’ stata dura lo stesso smettere, io vivevo per il calcio”.

“Un secolo fa, circa, abbiamo pure giocato assieme, nel Padova” – scrive Pino Lazzaro nel suo “Di angolo in angolo” (Mazzanti Libri, 2015).“Lo ricordo sempre intenso, sempre la spina attaccata (…). Uomo da campo in un calcio sempre più parlato e gonfiato”.

Poche parole e molta sostanza, nell’esplicito riconoscimento di stima dell’ex compagno in biancoscudato.

Non stupisce troppo, quindi, che in quel calcio sempre più parlato e gonfiato Filippi non abbia trovato, da allenatore, soddisfazioni affini a quelle vissute da calciatore.

Rimane tuttavia significativa la testimonianza con cui ha descritto l’esperienza da allenatore del settore giovanile, dopo due stagioni da Mister della Berretti del Padova: “Credo che i giovani abbiano bisogno soprattutto di due cose: qualcuno che sappia loro insegnare calcio e qualcuno che dia e sappia far rispettare le regole. Educatori lo si deve essere per forza e il primo che deve far bene le cose è proprio l’allenatore (…). Se, per dire, al tale ristorante mi vengono a fare i complimenti per l’educazione e la compostezza a tavola dei ragazzi, so che sto facendo sì il mio dovere ma so anche che un po’ di prestigio va al Padova come società”.

Vi sono così successi silenziosi, che non trovano necessariamente esplicito riconoscimento. Ma nei ricordi degli appassionati di calcio vicentini e padovani, Filippi avrà sempre apprezzamento evidente.

Ancora al Maestro Lazzaro: “ Sì, era speciale l’atmosfera dell’Appiani, non l’ho più trovata. Forse un po’ il Menti, a Vicenza, si avvicinava ma era comunque un’altra cosa. Credo anche perché mi ricordava il periodo del settore giovanile, quegli anni in cui ho un ricordo bellissimo, il più bello della mia vita, quando le cose erano semplici e chiare”.

La bellezza della gioventù, fatta di semplicità e chiarezza, viene meno quando si diventa “più grandi”, e le cose da semplici e chiare si fanno più complicate e torbide. La bellezza del calcio, però, sa riservare – per fortuna – gioie semplici e chiare. Essenziali. Come un gol.

“Con il Real Vicenza segnò un solo gol – riporta Matteo Marcolin – davanti a 25mila tifosi adoranti. Era il 16 aprile 1978. Mancavano quattro giornate alla fine di quello straordinario campionato e a Vicenza era di scena il Genoa di Pruzzo e Damiani. Quell’anno avevano segnato tutti, tranne Carrera e, appunto, Filippi. Alla fine arrivò anche la sua rete: era l’8’ del primo tempo; Faloppa lo servì al limite dell’area, lui calciò con tutta la sua forza. Tarocco, il portiere del Genoa, si allungò in tuffo ma non riuscì a intercettare quel pallone che finì nell’angolino basso, mandando in visibilio il Menti”.

L’atmosfera dell’Appiani, da giovane coi capelli già lunghi; il visibilio del Menti, da uomo coi baffi “alla Gigi Meroni”: da Padova a Vicenza, le sgroppate, i passaggi precisi, i tocchi in profondità di Filippi.

Che corre corre corre, si fa applaudire in biancoscudo e in biancorosso, addirittura nel fermo-immagine di un ricordo dà l’aria di non fermarsi mai.

 

 

 

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Paolo Paiusco