Lanerossi-Padova, storie di grandi Ex: Bruno Giorgi
note di Paolo Paiusco
Vi sono stati anni, tra la metà degli Ottanta e i Novanta inoltrati, in cui Bruno Giorgi era considerato uno degli allenatori più interessanti del panorama calcistico italiano. Si era conquistato attenzione, considerazione e rispetto allenando – e vincendo – dalla terza serie fino ad arrivare alla Serie A.

Dalla panchina ha rivitalizzato piazze “provinciali” ma con passati gloriosi come Padova e Vicenza, ha creato l’entusiasmo di un sogno – ossia provare, e per un niente sfiorare, la salita dalla B – a Cosenza, ha lottato per rimanere in quello che al tempo era uno dei campionati più belli del mondo, addirittura assestandosi nella colonna di sinistra della classifica (sempre per usare il lessico dei tempi) passando da Brescia, Firenze, Bergamo, Genova (sponda rossoblù) e Cagliari, sino ad accarezzare la gioia di successi europei, giungendo a disputare le semifinali di Coppa Uefa con la Viola e i sardi.
I primi importanti traguardi di Giorgi allenatore, dopo la conquista della Serie B alla guida della Nocerina (campionato 1977-’78), sono colorati di bianco e rosso: quello delle maglie biancoscudate del Padova, quello delle righe verticali del Lanerossi, le due squadre di cui è – dalla panchina – “grande ex”.
Tra Padova e Vicenza Giorgi allenò in Veneto quattro anni, tra il 1982 e il 1986, vincendo campionati all’insegna della difficilissima alchimia di concretezza e bel gioco.
A Padova per una sola ma intensa stagione: 1982-’83, Serie C1.
Il primo protagonista delle nostre note sui “grandi ex”, Adriano Bardin, rimasto nei ranghi tecnici della società biancoscudata, dopo la carriera da calciatore, con allenatore Caciagli, viene confermato anche all’arrivo di Giorgi.

“Giorgi non volle come collaboratore un ‘allenatore in seconda’, e per me fu in un certo senso inventato su misura il ruolo di allenatore dei portieri” ricorda il Bardo nel suo “L’ultimo spogliatoio” (2013, seconda edizione), rimarcando poi lo spirito di persuasione usato dal nuovo allenatore verso la squadra in merito ai propri metodi, di cui erano parte integrante “una serie di raccomandazioni sull’atteggiamento da tenere nelle relazioni tra compagni di squadra e nei confronti dell’allenatore”.

Bardin
“Invitò addirittura a non giocare con la mollica del pane durante il pranzo” – continua Bardin – “ad indossare per la cena pantaloni lunghi e calze evitando le ciabatte, ad alzarsi da tavola tutti assieme e, infine, a rispettare rigorosamente gli orari”.
Sotto il profilo prettamente tecnico, il Baffo riconosce esplicitamente i meriti di Giorgi, anche per quanto riguarda la preparazione dei portieri: “(mi consegnò) alcuni fogli dedicati ad esercitazioni sulla tecnica del portiere, che aveva ricevuto nel periodo dedicato allo studio del calcio cecoslovacco durante il corso di allenatore di prima categoria. Si trattava di fogli con disegni corredati di didascalie in lingua ceca che conservo tuttora e ho spesso fotocopiato ad allievi e colleghi, e che hanno costituito per me un piccolo manuale portatile di quanto tuttora ritengo essenziale nella formazione dei giovani portieri: lo stile”.
Metodico, rigoroso e al tempo stesso riconosciuto dai propri uomini, mister Giorgi.
Il Padova centrò la promozione in Serie B coronando una impresa inseguita da quattordici anni: Maiani e Renzi portieri, poi Donati, Fanesi, Fellet, Salvatori, Cerilli, Da Re, De Poli, Cavestro, Marchetti, Pezzato e Ravot i protagonisti principali.
Proprio Antonio Ravot, attaccante classe 1960 (7 presenze e 2 reti in B col Lanerossi, tra l’altro, nel campionato 1979-’80) riportava a Pino Lazzaro, in una intervista per Il Gazzettino nel 2003, i bei ricordi legati a quel Padova e al suo allenatore nella sua unica stagione giocata nella città del Santo, non confermato dal suo amato Cagliari: “Scelsi Padova, soprattutto perché lì c’era Giorgi come allenatore, avevo avuto modo di conoscerlo, lo stimavo come persona. (…) Ho fatto un solo anno a Padova, dalla C1 salimmo in B; fosse dipeso da me avrei fatto la firma per restare, ancor di più l’ho capito con gli anni, tutta la carriera avrei potuto fare a Padova ma il Cagliari volle riscattarmi, loro dalla A erano invece appena retrocessi in B. (…) Non ero proprio una punta, ero più un trequartista ma Giorgi mi fece giocare davanti e il complimento più bello che posso fare a quel mio allenatore è che lui è un uomo vero, punto e basta, una grandissima persona. Ricordo che quando capitava lo andavo a trovare quand’era a Cagliari ad allenare”.
Le parole di Ravot richiamano i tratti essenziali che caratterizzano il ricordo di Giorgi in maniera trasversale a tutte le squadre che ha allenato: benvoluto e rispettato, ancor oggi nella memoria degli sportivi, oltre che per i risultati raggiunti, per quel suo modo di essere, per quel suo tratto di carattere che ovunque abbia lavorato (con maggiore o minore successo) gli è stato riconosciuto: stile e signorilità.
“Giorgi? Un gentiluomo” è espressione a tutt’oggi diffusa, a quindici anni dalla sua scomparsa. Morì a settant’anni non ancora compiuti, il 22 settembre 2010, a Reggio Emilia; era nato a Pavia il 20 novembre 1940.
“Giorgi a Padova rimase una sola stagione: dopo l’ultima partita, sul pullman che lo portava insieme ai suoi giocatori dall’Appiani in una piazza della Frutta gremita di tifosi impazziti di gioia, annunciò la sua decisione di lasciare. Il motivo? Si era sentito offrire il rinnovo del contratto da un giornalista a nome e per conto del presidente Pilotto, con il quale i rapporti si erano logorati nel tempo. Passò al Vicenza, che allenò per tre campionati di fila, lanciando in prima squadra un giovanissimo Roberto Baggio” riportò il Mattino di Padova in un articolo del 29 settembre 2010, dando notizia della scomparsa a funerali avvenuti.
“I contrasti del presidente Pilotto con Giorgi erano sorti fin da subito dal fatto che quest’ultimo non tollerava interferenze di alcun genere che invece non mancarono affatto, portandolo infine alla decisione di lasciare il Padova nonostante la vittoria in campionato”, sottolinea ancora Bardin. “Intendendo confidare solo sui vicini collaboratori, Giorgi concepiva il proprio lavoro come incentrato unicamente sul rapporto tra lo staff e i giocatori: ogni problema doveva essere considerato e affrontato all’interno dello spogliatoio, senza nessuna interferenza della società. Anche quando si trattava di un solo giocatore, il chiarimento avveniva immancabilmente a quattr’occhi, nello spogliatoio del Mister”.
Col passaggio di Giorgi al Vicenza si interruppe, ma solo temporaneamente, la collaborazione con Bardin: nuove sfide calcistiche avrebbero affrontato qualche anno più tardi con Brescia, Cosenza, Fiorentina, Genoa e Cagliari
Al Lanerossi Giorgi avrà come secondo un altro estremo rimasto nella storia biancorossa: Ernesto Galli.
Nei suoi tre anni a Vicenza, costruirà una squadra capace di lottare fino a fine campionato nella prima stagione, e di non farsi abbattere dalla delusione per la promozione mancata di un soffio, tanto da riuscire nel doppio salto dalla C1 alla B e dalla B alla A nei due campionati successivi.
“Il club biancorosso era stato sollecito e lungimirante nell’affidargli la panchina della ricostruzione, alla ricerca della serie B smarrita. Quella serie B che lui lasciava a Padova, per incomprensioni con i vertici societari, per dire sì alla corte di Maraschin e ripartire dai piani bassi per una nuova appassionante sfida”, nelle considerazioni di Andrea Libondi su Il Giornale di Vicenza del 30 settembre 2010. “Bruno Giorgi viveva di calcio. Calcio e famiglia. Per lui erano tutto. Al punto che la leggenda vuole che a Padova avesse scelto un’abitazione vicino allo stadio Appiani (erano ancora lontani i tempi del “mostro” Euganeo) per non avere distrazioni di sorta ai suoi credo. Moglie e figlia lo seguivano ovunque, adorate e adoranti. A Vicenza aveva trovato casa in viale della Pace, dalle parti della caserma Ederle, in un anonimo condominio lungo la strada trafficata”.
Dai dintorni di via Carducci a Padova, al condominio di viale della Pace a Vicenza, cambiano casa e città ma non approccio e metodo.
Ancora Libondi: “Tre anni a Vicenza. Una promozione sfumata sul filo di lana con contorno di polemiche per quell’1-4 casalingo al terzultimo turno col Parma. La serie B guadagnata l’anno successivo nello spareggio di Firenze col Piacenza, addirittura l’approdo in A l’anno successivo, quando però già impazzava quel ciclone del calcio-scommesse che avrebbe lasciato macerie anche in casa biancorossa. Così la promozione sul campo venne cancellata, il Vicenza tornò (meglio, restò) tra i cadetti e Giorgi decise che era il momento di dedicarsi a nuove sfide, lasciando dalle parti del Menti un bilancio esaltante e l’immagine di un professionista esemplare, pronto ad arrabbiature anche violente per difendere le sue creature da attacchi considerati immotivati”.
Rimase, rimane nel cuore tanto degli sportivi vicentini quanto degli appassionati di calcio padovani: “uomo vero del calcio”, lo salutò, alla notizia della scomparsa, Roberto Baggio, che lo ebbe allenatore anche alla Fiorentina.

Giorgi con un giovanissimo Baggio
L’ultima panchina su cui sedette fu quella del Cagliari: stagione 1995-’96, subentrò a Giovanni Trapattoni, riuscì a condurre i rossoblù alla salvezza.
Smise quindi di allenare a neanche 56 anni, età ancora giovane per un mister. Si ipotizzarono motivi la cui verifica andava oltre una intervista in sala stampa: non hanno avuto all’epoca, e tanto meno hanno ai nostri giorni necessità di essere approfonditi. Del resto, ancora Andrea Libondi diede testimonianza emblematica dei confini tra lavoro e vita privata che sapeva far rispettare Giorgi: “Quella volta che arrivai allo stadio e lui se n’era già andato mi presi la licenza di suonargli il campanello di casa. Lui scese in strada e fu sorpreso e gentile. Ma anche in quell’occasione difese la sua privacy ed il colloquio avvenne nell’atrio del condominio”.
E come per la penna de Il Giornale di Vicenza, immaginiamo – a chiusura di queste note – salutare Bruno Giorgi, indimenticato allenatore di biancorossi e biancoscudati, al portone del condominio in cui abita: una stretta di mano breve ma vigorosa, lo sguardo limpido e asciutto.
Un saluto senza troppi convenevoli, ma sincero. Come si usa tra gentiluomini.

